Si sta parlando molto in queste settimane del documentario Netflix “The social dilemma”. Al centro il modo e il perché i social media, come Facebook, Youtube, Instagram, impattano sulle nostre vite, modificando la nostra percezione del mondo e i nostri comportamenti.
“The social dilemma”, un documentario alla Dario Argento

Il documentario, diretto dallo statunitense Jeff Orlowski, riprende nei toni altamente drammatici e nei contenuti quanto già riportato nel libro di Jaron Lanier, informatico e saggista statunitense, “Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social”.
Sorvolando sui toni allarmistici, gli intermezzi musicali che neanche Dario Argento sceglierebbe, e su una costruzione vagamente esasperata della situazione, sono convinta che “The social dilemma” possa essere utile a fissare alcuni punti interessanti.
Pillola blu o pillola rossa?

Non parlerò di Facebook, di Youtube, di Google, di Snapchat. Parlerò di dating app, as usual. Perché “The social dilemma” è anche The Tinder dilemma.
Nel documentario Netflix alcuni esperti della Silicon Valley, allontanatisi per motivi etici da realtà come Google, Pinterest, Facebook etc, denunciano come i social media possano essere una minaccia per la società. Tra di loro Tristan Harris, che ha lavorato come esperto di design in Google, e lo stesso Lanier.
I social media sono una minaccia:
- perché creano dipendenza
- perché creano depressione
- perché diffondono fake news
- perché ci rinchiudono in una bolla
- perché influenzano, in negativo, i nostri comportamenti
- perché utilizzano i nostri dati personali per fare soldi
- perché puntano alla semplificazione e polarizzazione.
Erodono, quindi, dalle basi, il democratico e ‘sano’ funzionamento della nostra società.
Quindi anche Tinder e altre dating app sono una minaccia per la società? Possono indurre dipendenza, depressione, rabbia, malumore, possono utilizzare i nostri dati personali, influenzare i nostri comportamenti?
Vedrai quanto è profonda la tana del Bianconiglio

Vediamo punto per punto come gli statement di “The social dilemma” si applicano al mondo tinderiano.
1) Le società competono per la nostra attenzione
Vale anche per le dating app, of course: l’obiettivo delle dating app non può che essere quello di farsi scegliere e di tenerci incollati allo schermo, di farci giocare il più a lungo possibile.
Per fare questo i grandi gruppi creano design innovativi, riconoscibili, accattivanti. Meccanismi semplici, colorati, dinamici, veloci. Lo swipe left e swipe right è un po’ come la leva che abbassiamo se giochiamo a una slot machine.
2) Servizi che crediamo gratis sono in realtà pagati dagli inserzionisti
Il mantra, ormai risaputo, è sempre lo stesso: se non stai pagando per il prodotto che usi, allora il prodotto sei tu.
Tinder e altre dating app si muovono su un modello di business freemium. Alcuni servizi di base sono gratuiti; per migliorare e implementare l’esperienza con funzionalità avanzate occorre pagare.
Tinder, ad esempio, propone l’iscrizione a Tinder Gold o Tinder Plus con un piano di pagamento mensile, semestrale o annuale. Questi piani permettono, ad esempio, di evitare le pubblicità, avere boost mensili, mostrarsi solo alle persone per le quali si è già mostrato un interesse, vedere chi ci ha messo un like, attivare la funzionalità passport geolocalizzandosi ovunque nel mondo.
Chi una volta si rivolgeva alle agenzie matrimoniali il portafoglio doveva aprirlo, senza garanzia di avere successo.
Oggi paghiamo le dating app. Come?
- Attivando servizi premium
- Affidando i nostri dati a società che li utilizzano per proporci inserzioni pubblicitarie.
Nel secondo caso, gli inserzionisti sono i veri clienti di Tinder che utilizzano il loro budget perché i loro annunci su prodotti e servizi vengano mostrati a persone in linea con il loro target. Pagano la nostra esposizione a un certo stimolo, la nostra attenzione.
3) Le società ci controllano, sanno molto di noi, costruiscono modelli predittivi su cosa faremo e sceglieremo
Le società raccolgono dai nostri profili e dalle nostre azioni uno straordinario quantitativo di dati e informazioni. Questi dati vengono interpretati secondo un modello per fare previsioni accurate su quale sarà la nostra prossima mossa di fronte a un certo stimolo.
Da quando nella bio ho inserito la parola blog, questo è l’annuncio che vedo più di frequente (un servizio per la gestione di cookie e privacy dei siti).
Avendo segnalato che mi occupo di social media ho intercettato anche pubblicità di servizi e corsi sul digitale.
La targettizzazione delle inserzioni è molto migliorata ultimamente su Tinder. Prima vedevo spesso pubblicità di tapparelle, piastrelle, e affini. Forse Tinder aveva capito che volessi cambiare casa. Not yet, my dear.
Quindi, da una parte vediamo quello che secondo le società potrebbe maggiormente catturare la nostra attenzione, e forse anche disturbare meno. Dall’altra, restiamo confinati entro la nostra bolla. Quello che la società capisce oggi di noi, è davvero quello che vogliamo vedere? Quello che ci interessa? Quello che ci interesserà? Sicuramente no, sono solo delle necessarie semplificazioni.
4) Questo è capitalismo dell’essere umano. Queste società sono le più ricche della storia
Match Group, per fare un esempio, è un colosso con all’attivo, tra le altre, Tinder®, Match®, Meetic®, OkCupid®, Hinge®, Pairs™, PlentyOfFish®.
Riporto da Ansa il dato di chiusura 2019: “Il gruppo ha riportato ricavi annuali per 2,1 miliardi di dollari, con un incremento del 19% su base annua. A trainare sono stati i ricavi di Tinder, aumentati del 43% a quota 1,2 miliardi, pari al 56% dei ricavi complessivi del gruppo”. Quest’anno non sarà da meno, il lockdown ha favorito l’utilizzo di strumenti digitali. Sul sito ufficiale della società statunitense ci sono i risultati, in crescita, del secondo trimestre 2020.
5) Cosa ci spinge a stare sulle app? Un rinforzo positivo intermittente
Perché entriamo spesso su Tinder? Perché speriamo, tra millemila profili, di trovare qualcuno che ci colpisca. Magari proprio nella carta successiva a quella che abbiamo appena scartato. Perché sappiamo che forse qualcuno là fuori (o dentro) ci ha messo un like. Sta a noi scoprire chi, continuando a girare le carte.
Quando troviamo una persona che ci colpisce, una persona che ha corrisposto il nostro like, un contatto che ci scrive, il nostro cervello produce una scarica di dopamina. Ne traiamo una sensazione di piacere, che ci fa chiedere ancora di più. Entriamo nel meccanismo di provare più e più volte, finché riusciamo, una volta ogni tanto, a ricevere quel rinforzo che ci fa stare bene.
È un meccanismo di dipendenza molto simile a quello scatenato dal gioco d’azzardo.
6) La nostra esperienza è costruita ed elaborata sulla base di un algoritmo di cui non conosciamo perfettamente i meccanismi
So true. L’esperienza sulle app che possono avere due persone della stessa età che vivono nella stessa area geografica e cercano all’interno di un target similare può essere molto, molto diversa. Le persone non vedono le stesse informazioni. Ogni persona vive l’esperienza sulle dating app all’interno della propria bolla.
Questo dipende da molti fattori: l’algoritmo incamera dati sul comportamento dell’utente e sulle reazioni degli altri utenti nell’interazione con i contenuti del singolo (profilo, messaggi, etc).
L’algoritmo ha una sua intelligenza: possiamo sfruttarlo a nostro vantaggio, ma fino a un certo punto. Credo che nella maggior parte dei casi sia lui a usarci.
L’algoritmo calcola cosa è perfetto per ciascuno di noi? L’algoritmo ci conosce? Sa chi ci piace?
Dalla mia esperienza non credo. Non ci ha capito molto. Continua a presentarmi persone con le quali mi pare di avere molto poco in comune, guardando la tipologia di foto e le bio.
Prendiamo l’esempio dei top picks di Tinder: profili top, secondo la dating app, per le quali tutte sbaverebbero (la mia prospettiva è quella di donna eterosessuale). Ecco, è la fiera del vacuo. Uomini belli, bellocci, sportivi, palestrati, con professioni manageriali, auto da corsa, foto accattivanti, bio non sempre ben fornite. Uomini che Tinder pensa piacerebbero alla maggior parte delle donne. Ecco Tinder, te l’ho già segnalato. Mai e poi mai sbloccherei una funzionalità a pagamento per vedere altre persone simili a quelle che mi proponi.
A me piace altro: te lo scrivo anche qui, vediamo se ce la fai.
L’intellettuale sfigato con gli occhiali e la pancetta, il creativo che si veste sbragato e ha i capelli sempre in disordine, il parkourista dalla barba incolta e i pantaloni oversize, il nerd con la maglietta dei Ghostbuster e in mente solo l’ultimo manga che ha letto, lo sportivo ambientalista che ama camminare a piedi nudi e nel weekend è solo in mezzo alla natura.
Ti ho dato qualche indizio utile? Ce la possiamo fare?
No, non ce la possiamo fare.
Nel caso delle dating app l’algoritmo ha un qualche interesse nel farci trovare solo persone perfette per noi? Non credo proprio.
Le società hanno come unico obiettivo quello di farci stare sulle app stesse: per farci vedere le pubblicità, per spingerci ad acquistare pacchetti premium.
Il rinforzo intermittente è perfetto, perché non sappiamo quando arriverà, ma sappiamo che potrebbe arrivare e con grande probabilità arriverà, prima o poi. Nel frattempo giochiamo con le figurine.
7) Le leggi che normano la privacy digitale sono ancora molto deboli.
Sicuramente serve una regolamentazione ad hoc, che sia al passo con i nuovi strumenti digitali che hanno sempre più preso piede in questi anni. Un tema che indubbiamente tocca anche le dating app. Non mi ci addentro, non essendo esperta.
Fine della pars destruens.
Una cosa è conoscere il sentiero giusto, un’altra è imboccarlo

“Come fai a svegliarti da Matrix se non sai di essere in Matrix?”, domandano in “The social dilemma”.
Ecco, noi lo sappiamo ora di essere in Matrix (uno dei miei film preferiti di sempre tra l’altro).
E allora?
Allora dal mio punto di vista possiamo adottare una serie di comportamenti che ci permettano di utilizzare i mezzi con maggiore consapevolezza e spirito critico.
1) Siamo più redditizi se fissiamo uno schermo che se viviamo la nostra vita appieno?
Bene, il nostro scopo non è certo quello di far arricchire altri. Utilizziamo le app con i nostri tempi e per gli obiettivi che ci prefiggiamo. Vivendo.
Disattiviamo le notifiche, se necessario.
Possiamo decidere di utilizzare le app solo in alcuni circoscritti momenti della giornata, che decidiamo noi, non sulla base di una notifica ricevuta, ma di una nostra volontà, disponibilità emotiva e di tempo.
“If you are looking for the love of your life (vabbè, dai, anche meno), stop. They will be waiting for you when you start doing things you love”.
Viviamo, quindi.
Stiamo cercando di conoscere persone nuove? Ottimo. Le dating app possono essere uno degli strumenti, delle opportunità. Non lasciamo che siano il solo strumento cui ci affidiamo.
Continuiamo a fare le cose che amiamo, a stare dove vogliamo stare (nel bosco, sempre). Facendo le cose che amiamo ne trarremo in ogni caso gratificazione.
2) Mettiamoci un po’ di umanità, di verità personale
Non siamo figurine, non permettiamo a nessuno di ridurci a figurine.
Creiamo una rappresentazione di noi (perché questo è il nostro profilo) quanto più possibile tridimensionale e veritiera.
Foto vere, pochi filtri, parole semplici, voglia di raccontarsi, un po’ per volta.
Restiamo umani.
Mettiamoci la consapevolezza che dall’altra parte delle figurine ci stanno persone, con sentimenti, pensieri, che non possiamo conoscere, ma che magari vale la pena di scoprire.
3) Scegliamo, pensiamo, restiamo liberi e criticamente aperti
Proviamo app ed esperienze diverse. Valutiamo quale è meglio per noi.
Non accettiamo consigli da chi presume di conoscerci. No, ad esempio, ai top picks di Tinder. Io non li guardo più. Lì non ci sono i top profili per me.
Come dice Lanier alla fine del documentario: “Sono le persone critiche che guidano il miglioramento, i veri ottimisti”.
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Cosa ne pensate della riflessione proposta dal documentario?
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