DA UTENTE DI TINDER A CREATORE DI LIBRIMBOCCA. LA STORIA DI SIMONE

Era un’infuocata serata di luglio del 2020 e io me ne stavo, accaldato e annoiato, sul mio divano. Da poco più di un mese mi ero iscritto a Tinder, un’app che non mi ha mai entusiasmato, avendo sempre preferito Adotta1Ragazzo o Meetic, siti di dating un po’ più “lenti” e più “umani”, ma che, visto l’enorme successo riscosso da Tinder, si sono praticamente svuotati.

SU TINDER SCATTA IL MATCH CON GRAZIA

Mentre me ne stavo lì a fare swipe a destra e sinistra (quasi come un automa), mi imbatto nelle foto di una certa Grazia. Sono poche foto in bianco e nero, foto ‘artistiche’. Il viso non si vede per intero. Labbra socchiuse, un maglione bianco. Una massa di capelli ricci e neri accompagna il tutto. Foto piene di sensualità ed eleganza. E allora… Superlike!

Con mia grande sorpresa, mi accorgo che abbiamo matchato. Era il mio secondo match su Tinder. Non ricordo quale fu il mio messaggio d’esordio (di certo non “Ciao, come va?”), ma, poco dopo averlo inviato, Grazia mi risponde.

Spesso, per portare avanti una comunicazione e per capire chi ho davanti, chiedo alla mia controparte: “Quali sono il tuo piatto preferito, il tuo libro preferito e il tuo film preferito?”. Domande piuttosto semplici, ma che (almeno a me) possono rivelare molto di una persona, e che io feci anche a lei.

Grazia mi risponde: “Spaghetti al pesto”, “Il lupo e il filosofo”, “La sposa turca”. Deduco che ho a che fare con una donna che: A) non sa cucinare (ne avrei avuto la prova provata nelle chat successive), B) legge molto e C) è attenta a temi inclusivi.

“Bene”, mi dico, “non ho a che fare con una capra”.

Mi incuriosisco perché, pur avendo sentito parlare di quel libro, non l’avevo mai letto; stessa cosa per il film. Ma Grazia poco dopo mi liquida con un: “Buonanotte”. Di buonanotte, detti di punto in bianco attorno alle dieci di sera, ce ne sarebbero stati decine di altri. Grazia si sveglia molto presto e a differenza di me non è un animale notturno.

FUGA DA TINDER VERSO NUOVE MODALITÀ DI CONNESSIONE

da tinder a librimbocca
Ci leggiamo un libro? (da “Il paziente inglese”, Anthony Minghella, 1996)

 

Nei giorni successivi, ci scriviamo ancora. Il mio scopo è, ovviamente, quello di uscire al più presto possibile dalla (terribile) chat di Tinder, ottenere il suo numero di telefono… e vedersi.

Lei mi sembra meno interessata a chattare, ma evidentemente, nemmeno lei mi considera una capra, perché una sera mi scrive questo messaggio:

G: Non amo questo tipo di chat. Non è il mio mondo. E non è il mio modo. Perché invece non ci leggiamo un libro?

S: Scusa, in che senso?

G: Sì, tramite messaggi vocali. Io leggo un libro a te e tu leggi un libro a me

Lo ammetto, in quel momento non avevo ben compreso la portata della cosa. Pensavo solo al fatto che avrei avuto il suo numero di telefono e che sì, le avrei letto un libro, ma avremmo anche potuto chiacchierare del più e del meno. Quindi acconsento senza problemi, in fondo io non potrei vivere senza leggere.

Ci scambiamo, quindi, il numero e finalmente usciamo da Tinder.

E quando mai ti ricapita che una donna ti dia il suo numero senza problemi e senza essere una escort? Ero abituato a Meetic e Adotta1Ragazzo, dove bisognava lottare per avere un numero.

“Caspita! Allora Tinder funziona”, mi dico, lì per lì.

UNA VOCE CHE AFFASCINA E SI DIFFONDE COME UN PROFUMO

Grazia decide di leggere proprio il libro “Il lupo e il filosofo”. Io invece, dopo aver ragionato su quale libro potesse ‘funzionare’, opto per “Mucchio d’ossa” di Stephen King, uno dei miei libri preferiti, che avevo letteralmente divorato e che mi ha influenzato tantissimo (ma questa è un’altra storia).

S: Allora a domani con le prime letture

G: Buonanotte

S: …

Con mia grande gioia e stupore, il giorno successivo, ricevo un vocale di venti (!) minuti. Lo ascolto. E dico: “Cristo Santo!”.

Sì, proprio così. Perché Grazia ha una voce di una tale sensualità che scaturisce dal telefono e si diffonde tra le stanze di casa mia come un profumo soave. L’ascolto. E ascolto la storia di Mark Rowlands, insegnante di filosofia che adotta un lupo di nome Brenin che gli distrugge casa, e gli fa capire quanto noi uomini-scimmie siamo molto diversi da un lupo, e quanto un lupo sia molto diverso da un cane.

Sono letteralmente rapito, affascinato.

A luglio 2020, eravamo reduci da un pesantissimo lockdown, in cui gli incontri causali (anche quelli arrivati da Tinder et similia) erano stati resi praticamente impossibili, per la diffidenza, per il timore di essere contagiati, per la ben nota “sindrome della capanna”, per pigrizia o abitudine alla solitudine.

Alle chat, fini a sé stesse, senza possibilità di uscire, io avevo sempre preferito un buon libro o un buon film. Con la voce di Grazia (nomen omen), mi sembrava quasi di rinascere.

LA LETTURA COME APPUNTAMENTO FISSO, COME GESTO DI CURA

da tinder a librimbocca
Ti leggo, ti curo, mi curo (da “Il paziente inglese”, Anthony Minghella, 1996)

 

Cominciai a ragionarci sopra e a capire l’importanza di questa nuovissima esperienza. Grazia mi spiegò che durante il lockdown, in un periodo molto difficile per lei, aveva già provato a ‘leggersi un libro’ e che in fondo gli approcci degli uomini su Tinder erano a dir poco banali, scontati, volgari. Per questo aveva deciso di provare a leggere un libro con qualcuno. “Che idea meravigliosa”, pensai. Avrei voluto averla io! Era un’idea talmente semplice e geniale!

In ogni caso, fu il mio turno e una sera lessi il primo capitolo di “Mucchio d’ossa”.

Un altro vocale di 20 minuti! Non ricordavo l’ultima volta che avevo letto ad alta voce. Forse era successo alle medie. Non c’ero più abituato, mi mancava il fiato. Ma poi, qual era il risultato finale di quei 20 minuti di lettura ad alta voce? Mi riascoltai, prima di inviare il vocale. Nessuno di noi riconosce la propria voce se esce da qualsivoglia apparecchio di registrazione. Io mi feci pena, per il timbro, il tono, l’interpretazione, ma inviai comunque.

Grazia aveva un’impresa più facile della mia. Lei stava leggendo un libro narrato in prima persona, ma senza dialoghi. Io avevo a che fare con tanti personaggi: vecchi, uomini, donne, persino spiriti. Dovevo cercare di dare un tono diverso a ciascuno di loro? Dovevo forse addirittura impersonarli e imitarli, come quando si legge una fiaba a un bimbo? Forse era questo il segreto.

Cominciai a capire anche questo: noi due ci stavamo raccontando una storia. Ed eravamo proprio come bambini, a cui un adulto legge un libro per farli addormentare. Una cosa che, se mai ci è capitata nell’infanzia, praticamente ora non ci capita più. Avevamo una sorta di potere, uno sull’altra. Siamo fatti così da migliaia di anni: amiamo chi ci racconta storie. Siamo affamati di storie, di emozioni.

Un’altra cosa di cui mi resi conto era che noi avevamo un appuntamento fisso. Tutti i giorni, io sapevo che lei c’era per me e io c’ero per lei, perché avevamo preso un impegno e ovviamente perché volevamo sapere come andavano a finire le storie che stavamo ascoltando.

In una chat normale si è sempre in dubbio e si pensa: “Ma se le scrivo, le romperò le scatole?”. Oppure ci si chiede: “Ma perché non mi scrive? Perché non mi risponde?”.

Si leggono sempre meno libri perché ormai ci siamo assuefatti al concetto di input-output. Facciamo un post e vogliamo un like o un commento. Scriviamo e vogliamo una risposta. E la vogliamo subito. Un libro è solo output. Non vuole niente da noi. E il nostro cervello, ormai drogato dai social, si annoia. Ci piace chattare perché lo stimolo è continuo, veloce, appagante.

Questo problema con Grazia non c’era. Io l’ascoltavo e basta, e se lei non rispondeva sapevo che prima o poi ci saremmo scritti, e il suo messaggio vocale, salvo impedimenti, sarebbe giunto, puntuale.

Grazia mi leggeva il suo libro di giorno e io l’ascoltavo nel silenzio di quelle notti afose; io leggevo il mio libro al crepuscolo e lei mi ascoltava la mattina, in macchina, mentre si recava al lavoro. Un giorno leggevo io e un giorno leggeva lei.

LA LETTURA COME ESPERIENZA INTIMA, CONDIVISA

da tinder a librimbocca
Leggere insieme, sentirsi un po’ più vicini (da “Il paziente inglese”, Anthony Minghella, 1996)

 

Lo ammetto, sono un vecchio lupo di chat, e so bene che in chat mancano un sacco di cose: la voce, il linguaggio del corpo, la fisicità. Con quel sistema però avevo qualcosa in più: la voce. E se ci si fanno i film chattando, figuriamoci con una voce sensuale di una donna che, dopo una pandemia globale, legge solo per te.

Ebbene sì, mi facevo i film. E allora ogni tanto le scrivevo, commentando quello che aveva letto o chiedendole un parere su ciò che avevo letto io.

Riuscivo persino a farmi un’idea della sua vita privata. Lei leggeva e talvolta le squillava il telefono; oppure il cancello di casa sbatteva. Sapevo il giorno in cui ritiravano la spazzatura. Il suo cane era geloso del fatto che lei leggesse e non avesse tempo e attenzioni da dedicargli. Mentre leggeva, alcune frasi la facevano ridere, altre la facevano pensare ad alta voce. Era tutto molto naturale e personale e tutto veniva registrato.

Ero riuscito ad arrivare al punto di capire, senza chiedere nulla, quanto fosse stata dura per lei quella giornata, quanto si sentisse stanca. Non servivano domande, lo si capiva dal tono di voce, che mi era diventato del tutto famigliare. Ma anche stanchissima, sprecava qualche minuto per dedicarsi a me. Ci stavamo dando tempo e attenzioni. Tra sconosciuti, è raro.

Anche io mi feci conoscere: una volta, reduce da una grigliata in giardino, molto più che brillo, alle due di notte, decisi comunque di leggerle un capitolo, con risultati comici a dir poco. Non si trattava di audiolibri: qui eravamo noi due, non professionisti, con la nostra umanità e i nostri errori, che ci stavamo leggendo un libro. Non eravamo un prodotto, ma un’esperienza condivisa.

Un’esperienza che potevamo fare perché eravamo single. Perché leggersi un libro sembra una cosa innocua. Ma è innocua se si legge a un bambino. Io ad esempio (da eterosessuale) non leggerei mai un libro al mio migliore amico, a meno che non sia steso su un letto in coma. Leggerei a un’amica o alla mia fidanzata, ma le mie fidanzate (almeno quelle che ho avuto) non mi avrebbero mai permesso di leggere a donne sconosciute. Sarebbe stato come avere un’amante. Leggersi è un’esperienza intima.

Qui non posso non citare il mitico discorso tra Jules e Vincent sui massaggi ai piedi nel film “Pulp Fiction”, quando Jules dice che è “lo stesso fottuto campo da gioco” (del sesso). Questo potrebbe sembrare un discorso sessista da parte mia, ma pur essendo contro ogni discriminazione, ho le mie preferenze, e anche diverse donne etero, mi hanno confidato di voler leggere solo a un uomo.

Un giorno mi lamentai con Grazia del fatto che, a differenza di me, che commentavo sempre ciò che leggeva, lei lo facesse molto di rado. Erano ormai trenta giorni che leggevamo. Lo scambio fu questo:

S: Io almeno ogni tanto ti commento… tu nulla. Non so se ti piace, se stai seguendo. È come se leggessi a un muro. Io sto leggendo A TE, non al mondo. Ricordalo.

G: E io sto ascoltando solo TE.

Quella risposta mi zittì. Eravamo oltre la semplice chat.

UN INCONTRO, UNA SCINTILLA, NASCE LIBRIMBOCCA.IT

Alla fine, non usai mai il suo numero per chiamarla, semplicemente decidemmo che ci saremmo visti. Ero sicuro che ci saremmo visti. Non ci sarebbero stati nessun problema o ripensamento dell’ultima ora. E perché mai avrebbero dovuto esserci problemi? Dovevamo parlare dal vivo di quest’esperienza, di cosa aveva significato per noi. Dovevamo tirare le somme.

I libri finirono. “Mucchio d’ossa” è lungo 600 pagine, per la cronaca.

A fine agosto, andammo a cena fuori. Non ricordavo più l’ultima volta che ero stato a cena con una donna. La pandemia sembrava avesse smesso di mordere e chiuderci in casa, e quello sembrava un nuovo inizio.

Parlammo finché un cameriere ci invitò gentilmente a uscire perché dovevano chiudere il locale. Parlammo tanto perché in fondo, nonostante ci conoscessimo da quasi due mesi, sapevamo pochissimo l’uno dell’altra.

Lei mi confessò finalmente di quanto avesse amato ascoltare la mia voce all’alba, in macchina, mentre si recava al lavoro e di come mi avesse praticamente identificato con il protagonista (che ho sempre invidiato) del libro. Parlammo delle implicazioni filosofiche della lettura, di quanto ci fossimo fatti compagnia, di come avevamo superato la pandemia.

E fu lì, a quel tavolo, mentre lei sbocconcellava il suo dessert e io bevevo il mio Zacapa 25 anni che scoppiò una scintilla.

No, non quella scintilla.

Di un altro tipo.

Io pensai: “Si potrebbe fare un sito o un’app… Forse questa cosa può piacere a tanti altri… se ci sarà un’altra ondata… ci si può fare compagnia…”.

E mentre io lo pensavo, prima che potessi aprire bocca, lei lo disse. Disse la stessa cosa.

Tornando a casa, in macchina, cominciai a strutturare il sito. È il mio lavoro. Ci siamo proprio trovati, non c’è che dire.

Il giorno dopo registrai il dominio.

A fine ottobre, Librimbocca.it era online.

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E oggi Librimbocca compie il primo anno di vita!

Cosa ne pensate? Vi è piaciuta la storia scritta da Simone (che ringrazio anche qui per avermi dato la possibilità di pubblicarla)? A me moltissimo, mi ha fatto riflettere su come sia possibile trovare altre modalità di connessione più umane e profonde, anche da remoto, rispetto a quelle che ci vengono proposte dalle dating app. 

Vi è mai capitato di pensare che leggere un libro a una persona potesse essere un ottimo modo per conoscersi, per vivere una esperienza insieme? Avete mai vissuto questa esperienza?

Nell’articolo che pubblicherò domenica 14 novembre ho raccolto da  Grazia e Simone altre riflessioni sul significato di questa esperienza e sul loro bellissimo progetto > eccolo qui!

Come sempre, potete commentare qui sotto, oppure sul canale Telegram Raccontami Storie da chat o sul mio profilo Telegram @StoriedaChat o scrivendomi via mail (raccontami@storiadachat.it). Vi aspetto!

E se avete voglia di altre storie (oltre alle mie):

 

  • Categoria dell'articolo:Vita da Chat
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