Dal letame potranno pure nascere fiori (favorisco qui sotto la fonte della citazione), ma da un “Ciao, come va?”, da un “Ciao, piacere” o peggio ancora da un asociale e dissociato “Ciao” non potrà mai svilupparsi chissà che conversazione di qualità.
Nella maggior parte dei casi. Evitando inutili e dannose generalizzazioni.
La mia ultima frequentazione aveva esordito, infatti, proprio in questo modo, ma poi la conversazione si era sviluppata in modo armonioso, complici anche i diversi punti in comune e la nostra quasi identica professione.
Ma torniamo al letame e ai campi più o meno concimati. Data la premessa, capirete con quanta gioia io abbia accolto il messaggio di Aldo. Diretto. Personalizzato. In quel periodo avevo svelato nella mia bio quale fosse il mio animale totemico, con tanto di foto nel corredo immagini a prova e dimostrazione di quanto stessi decantando. O meglio di quanto (non) stessi farneticando.
La farò breve, ho scelto come animale totemico il gufo. O meglio, ho acquistato un illuminante poster raffigurante un gufo, l’ho piazzato in sala e contestualmente ho deciso che quell’animale sarebbe stato per me una guida. Ah, pensavate che l’animale totemico sarebbe dovuto comparire nei sogni, accompagnarsi a me nei momenti più sublimi o in quelli più difficili di questa tormentata esistenza? No, lui se ne sta lì pacifico e osservatore sulla parete. Come questo possa aiutarmi e guidarmi devo ancora capire meglio.
Comunque… torniamo ad Aldo… eccoti. Il mio animale totemico è il gufo e tu mi scrivi che a te piace la civetta nera. E che te ne vorresti tatuare una in stile geometrico. Dopo l’ideogramma giapponese che hai sul polso, e che simboleggia l’eterno divenire.
A volte, bisogna dirlo, non si sa bene cosa succede, ma basta poco per perdere la brocca.
E’ un mix tra foto misteriose in bianco e nero, sguardo tenero e braccio da macho, richiami al design, alla ricerca interiore, alla voragine dentro di noi. Messaggi continui e apparente voglia di confrontarsi e di fare cose insieme, interessi in comune che si scoprono di citazione in citazione, di rimando in rimando.
E’ quel chiedere “Ci vieni con me alla mostra sulla street photography?”, dopo avere scoperto un comune interesse per la fotografia, che ti fa venire voglia di dire subito “Sì, con te ci vengo”. Anche se non lo dici, perché è prematuro. E glissi su un più vago “A Milano ci sono un sacco di mostre interessanti in questo periodo”.
Sarà il “Sento una sintonia. Vediamoci”, che ti fa già volare con la mente, aspettando, sognando, sperando in più alte e concrete sintonie.
Sarà quel voler lanciare spunti, quell’essere pronti nella risposta e quella sensazione di aver gettato un ponte.
E la brocca cade, si rompe, si perde.
Sarà. Bo. Sarà. Sta di fatto che dopo un paio di giorni la chat diventa già sufficiente, diventa già quasi troppo. Mi piaci. Ti penserei più forte se me lo volessi concedere. E questa volta mi andrebbe anche. Di concedermelo.
Mi hai già chiesto di vederci più volte. Ti dico bene, ti propongo di non sentirci più nei prossimi giorni, ma di organizzarci per vederci. La chat, ti scrivo, serve solo per accendere una curiosità. Poi ci si deve incontrare, altrimenti si attiva una abitudine a sentirsi che, se poi non ci si piace dal vivo, non ha proprio ragione di essere. Prima mi prendi per esagerata, poi sembri acconsentire. Metti un like al mio ultimo messaggio. Ecco, quella è la tua ultima forma di comunicazione che mi lanci.
Dopo quattro giorni, in una notte di sabato mi cancelli da Tinder. Sbam. Senza colpo ferire. Come ci hai pensato, dove, perché? Non è dato sapere. Ci rimango male la mattina dopo quando me ne accorgo? Direi di sì.
Ho il tuo contatto facebook, anche se non siamo amici. Penso di scriverti. Ma poi no. Lascio andare chi se ne vuole andare. Senza perdere tempo, né fare perdere tempo. Resta solo chi decide di farlo, per gli altri non ci sono più.
Ci fanno ghosting? Cosa fare? Lasciare andare. Punto.